L'ANGOLO DI CAITI

Parlano i protagonisti: intervista ad Angelo Bellocchio  - Il biliardo si fa scuola


Quasi quindici anni di insegnamento, oltre 400 allievi e per più di 5.000 ore impegnato su tavolo verde trasmettendo la conoscenza acquisita in trent'anni di attività agonistica. Sono questi i numeri di Angelo Bellocchio che, tra una gara e l'altra, da giocatore si trasforma in maestro.
"Quando iniziai a giocare - ricorda Bellocchio -, nessuno insegnava. Di scuole di biliardo nemmeno l'ombra. Questo perché i più bravi erano custodi gelosi del loro sapere. Non erano molto disponibili a trasmetterlo. Ma era un atteggiamento sbagliato. Calcio, tennis, nuoto, basket: nello sport in genere esiste la possibilità che i più esperti diffondano il loro sapere. Mi chiedevo perché questo non doveva accadere anche nel biliardo".

E più diventava esperto più se lo chiedeva. Perché più diventava bravo, più le persone gli si avvicinavano chiedendogli consigli sulle garuffe, sui giri, sulle bricolle.
"In quei momenti - continua Angelo - considerato il clima di 'chiusura' generale mi sentivo un po' spiazzato: davo consigli, mentre i più esperti si erano sempre rifiutati. Ma questo accadeva soprattutto agli inizi. Poi prevalse la soddisfazione di vedere gli occhi di qualcuno brillare per un mio suggerimento andato a segno".

Ed eccolo allora dedicarsi alla scuola: dai semplici consigli a vere proprie 'lezioni' sul tavolo verde. "Prima di averne una mia (il Players', n.d.r), insegnavo nelle diverse sale di Milano. In possesso di un diploma rilasciato dalla Federazione, incontravo i miei allievi".

Quello del diploma è un aspetto importante, sul quale Bellocchio si sofferma, aggiungendo che
"se una volta i più bravi non insegnavano, oggi ci sono troppi maestri improvvisati, giocatori che danno lezioni senza averne la facoltà. Dovrebbe esistere una Commissione formata dai giocatori più esperti che giudica i potenziali istruttori, stabilendone l'idoneità. Per poi rilasciare un brevetto a chi passa l' 'esame' ".

Non tutti, quindi, sono in grado di insegnare tiri e relativi conteggi. Già, i conteggi: oggetto di dibattito tra i giocatori ormai da anni: servono o non servono? Sono attendibili? Aiutano a migliorare? Fanno fare il salto di qualità?
"Voglio subito dirimere la questione - ci spiega Angelo- Contare ha portato degli enormi benefici a qualunque giocatore, dal terza categoria al professionista. Zito, Torregiani, Gomez, Albrito, Belluta: non a caso tutti i migliori giocatori di sponda hanno le loro numerazioni. Ma contare non basta. E' solo una parte di ciò che caratterizza un tiro tout court. Ci vuole sensibilità, capacità di trattamento, qualità di steccata, adattamento al tipo di biliardo. Non si tratta di un semplice 'due più due'. Anche perché un ruolo notevole lo assumono le compensazioni".

Compensazione: una parola magica nell'universo dei conteggi. Proprio da qui trova sostegno l'affidabilità di molte numerazioni, come il famoso 'angolo 50'.
"E' un conteggio - ci spiega Bellocchio - che preso alla lettera non funziona. Senza gli opportuni accorgimenti (leggi compensazioni, n.d.r) vale solo in alcune zone del biliardo. Per esempio le partenze in sponda corta dimostrano ampiamente la 'flessibilità' di questa numerazione. Che deve essere adattata. E qui entrano in gioco studi approfonditi. Per quel che mi riguarda nel corso degli anni ho modificato i conteggi dell' 'angolo 50' diverse volte, alla ricerca di un continuo perfezionamento. In questo sta l'abilità del giocatore esperto: lavorare accuratamente sulle compensazioni, partendo da una base che, seppur valida, è solo il punto di avvio. Più in generale - continua - i più scettici nei confronti dei conteggi nascondono una certa reticenza: non vogliono applicarsi. Perché costa fatica, i vantaggi non sono immediati, ci vuole tempo per assimilare al meglio le tecniche. Ma una volta acquisite, è come guidare una macchina. Diventa tutto meccanico. Del resto, questo accade in tutti gli sport".
 
E come in ogni sport la scuola ha dato una sterzata alla storia.
"La maggior disponibilità dei giocatori professionisti all'insegnamento - spiega Bellocchio - ha determinato una vera e propria rivoluzione nel mondo del biliardo italiano. Ciò ha permesso che il livello medio dei giocatore crescesse notevolmente. Mentre nel passato il divario tra i più bravi e quelli meno capaci era enorme, oggi non è più così. Il merito va alla scuola, sicuramente. Un buon viatico anche per diffondere il biliardo a livello nazionale tra coloro che non hanno mai appoggiato la mano sul tavolo verde".

Un grosso cambiamento si è avuto anche rispetto all'utilizzo dei prodotti. Nel passato il legno la faceva da padrone poi l'avvento di tutti gli altri materiali ha portato una ventata di novità.
"Soprattutto nella realizzazione delle stecche - precisa Bellocchio - A mio parere, ciò si è reso necessario con l'utilizzo per le nostre specialità dei nuovi biliardi internazionali, vent'anni fa. Il legno (lo sanno bene i carambolisti) garantisce una migliore sensibilità nel dosaggio e nella trasmissione degli effetti, mentre i nuovi materiali (il kevlar, per esempio) offrono una maggiore spinta, quello che nei '5 birilli' serve per governare al meglio la biglia avversaria. Nella carambola, invece, dovendo far viaggiare molto la biglia battente, è l'effetto che gioca una parte importante. Inoltre, le stecche attuali hanno una struttura interna che consente di modificarne peso e bilanciatura. Questo è molto utile, permettendo al giocatore di modificare il suo attrezzo in base alla caratteristiche del biliardo sul quale si trova a giocare, adattandosi così alla sua 'morfologia' ".

Dall'argomento Bellocchio trova spunto per parlare di un malcostume diffuso tra i giocatori: dare quantità d'effetto esagerate su ogni tiro, soprattutto sui tiri diretti. 
"Facendo scuola -
conclude - mi accorgo che molto giocatori hanno l'abitudine sbagliata di eccedere nel dosaggio dei tagli da imprimere alla battente. Ciò comporta notevoli errori di mira e di precisione. I tiri diretti sono quelli in cui si richiede maggior forza d'esecuzione che, unita ad effetti eccessivi, provoca scarti esagerati. La qualità del tiro è così compromessa. Probabilmente è un condizionamento psicologico, ma tutto quel taglio non serve. Con un 'girello' di taglio è una buona steccata si può ottenere tutto ciò che si vuole. Proprio per questo ai miei allievi alle prime armi consiglio di giocare i tiri 'di prima' con il minor effetto possibile e di lavorare di più sulle porzioni di palla. Lo stesso ammonimento vale per i giocatori più esperti fuori forma, che vogliono recuperare la condizione. Se per loro un tiro è diventato ostico, allora suggerisco di provare a giocarlo con poco effetto. Giri, filotti, raddrizzi, traversini e quant'altro: poco taglio e lavorare di più sulle porzioni di palla. Questo è uno dei miei insegnamenti fondamentali".